Lo Zafferano nella cucina dei sardi
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La cucina dei sardi non è mai stata una cucina di sforzo. Era cucina semplice e spontanea e faceva parte di un complesso di fattori che determinavano peculiari caratteri nelle tradizioni dei sardi. Caratteri che non riuscivano a celare ma, quasi con orgoglio, ostentavano, quale frutto di un certo isolamento, persino nei confronti delle popolazioni più vicine, in perfetta sintonia con la posizione fisica dell’isola, piuttosto distante dal continente di cui fa parte.

Nella cucina isolana notiamo soltanto sporadiche manifestazioni d’invasioni gastronomiche, dovute espressamente al potere dominante di altri popoli, come è verificato ad Alghero, a Carloforte e in misura minore in altre piccole località costiere, senza considerare aree di recente “colonizzazione” quale Arborea e Fertilia. L’ambiente rurale sardo, quello agro pastorale, ha opposto resistenza, per tanti secoli, e solo ultimamente si è dovuto piegare alla deleteria influenza di spietate pubblicità portatrici di cibi precotti e reconditi, di preparazioni sofisticate che conducono inesorabilmente all’abbandono di quell’amore per i fornelli che caratterizzava le nostre massaie, in lotta contro la penuria di alimenti a disposizione ed il desiderio ( particolarmente il giorno di festa e la domenica) di meglio figurare con un pranzo decoroso.

Cosi un bollito di carne bovina, piatto umile domenicale ( in città lo era di sabato), dava alla casa un’eccezionale ricchezza di raffinati e festaioli sentori. Carni che cuocevano lentamente in uno stato di sub – ebollizioni e irroravano l’ambiente durante questa lenta cottura. Profumi fini e persistenti creati dal pomodoro secco fugacemente aromatizzato dall’alloro, dal prezzemolo appena raccolto, dalla cipolla e da una costa di sedano che legati formavano un bouquet quasi insidioso ma delicato che non cadeva con l’avanzare della cottura e persisteva, ancora nel brodo e nella carne, quando arrivavano a tavola. Sono profumi che molti, quelli più avanti negli anni, hanno dimenticato; profumi che i giovani non hanno mai conosciuto e forse non conosceranno mai senza un costante impegno a riproporre, “ a rivisitare”, le bontà del passato.

Abbiamo accennato appena ad una pietanza già tanto diffusa una volta, umile e rappresentativa ma tanto ricca di profumi. Ma era la cucina dei sardi, tanto ricca di profumi?

L’uso degli aromatizzanti non è stato mai eccessivo! Venivano utilizzati : la mentuccia secca ( ed anche fresca), delicatamente vivace e cosi anche il mirto; l’armidda ( varietà spontanea di timo) indispensabile nei bolliti di carni ovine; il basilico e alloro in dose moderata, ambedue salutari e sedativi; più raramente entravano “ meirana” ( maggiorana) e rosmarino, lo zafferano era l’aroma per eccellenza quale incontrastato apportatore di sensazioni raffinate, eccitanti nel colore, carezzevoli nel profumo, intense, persistenti nel gusto. È uno degli elementi che il sardo ha accettato da tempi remoti.

Si è imposto un po’ dovunque, prevalse particolarmente nel Campidano, ma lo ritroviamo persino a Busachi, nella zona pi centrale della Sardegna. Non mi riferisco alla coltivazione ma all’utilizzo in cucina. Dirò che se è vero che il risotto lombardo deve tanto allo zafferano , i piatti sardi valorizzati da questi piccoli e delicati fili sono tanti. Mi sembra utile , pertanto, rivedere come utilizzarlo meglio; meglio significa carpire dal cuore di questi filamenti il massimo di colore ed il massimo delle sue espressioni olfattive e gustative: profumo, morbidezza, aroma, nella ricerca del massimo equilibrio con le espressioni proprie della pietanza che li incorpora.

Essiccazione e sfarinatura o “ polverizzazione”

Se desidero un buon caffè lo compro in grani e lo macino appena prima di utilizzarlo, possibilmente amaro perché non si riscaldi. Altrettanto consiglio, di norma, per lo zafferano . è preferibile essiccare e sfarinare poco prima dell’uso la quantità che si deve utilizzare. Dico essiccare e non tostare perché questo secondo termine mi sembra eccessivo e si può facilmente perdere la finezza aromatica del prodotto. È molto importante questa operazione; è assolutamente sconsigliabile usare cucchiai o piastre roventi. Solo la carta o la carta alluminio posata su superficie calda, al massimo il coperchio di un tegame durante la cottura del cibo. Il tempo, naturalmente, è in ragione della temperatura. La polverizzazione o sfarina tura si fa quando i filamenti sono aridi e friabili, ripiegando il lembo della carta, premendo e strisciando col dorso di un cucchiaio.

Dosi di impiego

A parte le considerazioni proprie inerenti il pericolo che l’assunzione di queste dosi comporterebbe per la salute dell’individuo, il piacere gustativo, come per tutti gli elementi nutritivi che interessano le preparazioni alimentari, non sempre aumenta con l’aumento della quantità. Lo zafferano crea nella nostra cavità orale, unitamente alle percezioni aromatiche, sensazioni gustative che corrono dalla tendenza dolce all’amaro. In poche parole, queste effusioni delicate e morbide, pseudo dolci iniziali, aumentando le quantità del prodotto, portano a percezioni amare di retrogusto prima, nettamente di gusto amaro, dopo. Mi pare superfluo precisare che le dosi d’impiego ottimali , di zafferano, a seconda dell’alimento al quale si incorporano, vanno da 1 a 2 stimmi freschi per persona.

Momento di inserimento nel cibo

È molto importante individuare il momento ottimale per l’inserimento dello zafferano nel cibo. In primo luogo, è opportuno, direi indispensabile, evitare di inserire il prodotto durante una rosolatura o direttamente in un soffritto; sia perché le temperature in quelle fasi sono troppo alte per il nostro prezioso prodotto, sia perché la sua diluizione direttamente nelle sostanza grasse è troppo lenta e incompleta. Lo zafferano si diluisce più facilmente e rapidamente , a temperatura ambiente o poco più, in acqua e aceto di vino, in vino bianco secco ( non tannico). In presenza del limone perde facilmente il colore pur lasciando integra l’espressione aromatica; in presenza d’aceto tiene un colore più marcato ma degrada più facilmente l’aroma. Il momento ottimale dell’inserimento, quindi, sarà, comunque, quello in cui tutti gli elementi e particolarmente liquidi sono inseriti, tenendo presente che se contengono aceto è opportuno attendere che questo evapori.

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